L’ammutinamento dei marinai tedeschi pone fine alla prima guerra mondiale
Il quattro novembre sarà la giornata del disertore. L’ha indetta l’Assemblea Antimilitarista nell’ultima riunione che si è svolta a Massenzatico poche settimane fa.
Nel comunicato uscito dall’appuntamento viene rilanciato l’appello a disertare le guerre, la propaganda di guerra e l’economia di guerra che anche il governo italiano vuole imporre. A ognuna e ognuno di noi si pone la scelta concreta di non collaborare con la violenza crescente delle istituzioni. Al tempo stesso si rilancia il collegamento con i tanti che, negli anni della prima guerra mondiale, dissero addio alle armi, si rifiutarono di combattere, si ribellarono agli ordini dei governi e degli stati maggiori sanguinari.
Ma questa opposizione non si limitò ad una scelta individuale, ma si trasformò in un movimento di massa che portò a ribellioni, ad insurrezioni e a profonde trasformazioni sociali.
Basti pensare alla rivoluzione russa che, dal febbraio 1917 al marzo 1918, portò quel grande paese fuori dal massacro, oppure alla rivolta di Torino dell’agosto 1917.
Proprio nei giorni in cui in Italia si celebra la giornata delle forze armate e dell’unità nazionale, il 4 novembre, in Germania si svolse un evento che accelerò la conclusione del conflitto.
Sebbene la Germania avesse avviato trattative di pace con i governi dell’Intesa e gli Stati Uniti, il governo e lo Stato Maggiore insistevano nella guerra e cercavano una vittoria risolutiva che, pur non ribaltando le sorti della guerra, permettesse condizioni meno gravose. È in questo quadro che matura, negli alti comandi, l’idea di impiegare la flotta di alto mare in uno scontro decisivo con quella della Gran Bretagna.
La flotta d’alto mare tedesca era equivalente alle forze inglesi schierate nel mare del Nord, come aveva dimostrato la battaglia dello Jutland (31 maggio – 1° giugno 1916) e non era più uscita in mare dopo quello scontro. Le navi da battaglia conservavano quindi intatto il loro potenziale di distruzione.
Il 24 ottobre 1918 l’ammiraglio Scheer ordina segretamente di dare attuazione al piano del contrammiraglio von Trotha, capo di stato maggiore della flotta. L’obiettivo era “un ultimo decisivo combattimento navale della flotta tedesca contro la Royal Navy, anche se sarebbe stato un duello all’ultimo sangue “, su sollecitazione dell’OHL (Oberste Heeresleitung – Comando supremo dell’Esercito, la più alta utorità militare dell’impero tedesco, ndr). Secondo von Trotha, “Una flotta paralizzata da una pace duratura non ha futuro”. L’ammiraglio Scheer giustificò successivamente il suo ordine affermando che stava sostenendo l’esercito delle Fiandre dalla costa.
In previsione dello scontro navale, la Hochseeflotte ricevette l’ordine di ancorarsi nel porto di Schillig, a nord della base navale di Wilhelmshaven. Come riporta Maurizio Bassetti nella sua ricostruzione “Un gran numero di marinai, in maggioranza fuochisti che al tempo delle navi a carbone facevano una vita davvero infame, degli incrociatori da battaglia Derfflinger e Von der Tann non facevano rientro da permesso a terra e pattuglie della polizia militare avevano dovuto rintracciarli e riportarli a bordo di forza. Alle 10 di sera gli equipaggi delle corazzate Koenig, Kronprinz, Wilhelm e Markgraf rifiutavano di obbedire agli ordini e i fuochisti minacciavano di spegnere le caldaie se le navi avessero avuto ordine di partire. Sulla Markgraf l’equipaggio si radunava sul castello inscenando rumorose manifestazioni in favore della pace e del presidente Wilson. A mezzanotte la rivolta si era estesa anche alle corazzate Thuringen, Kaiserin e Helgoland, mentre analoghi incidenti avvenivano anche sull’incrociatore leggero Regensburg, ancorato a Cuxhafen. Perfino sulla nave ammiraglia Baden la tensione era altissima. L’ammirigalio Franz von Hipper cercava di temporeggiare e rimandava la partenza di 24 ore. Il mattino seguente però alcune centinaia di uomini della Thuringen si erano asserragliati in batteria e si rifiutavano di levare le ancore. Per sovrappiù un poco più tardi sia sulla Thuringen sia sulla Helgoland venivano danneggiati gli elevatori delle ancore e spente le caldaie. Qualunque operazione doveva essere cancellata. La mattina dopo, era il 31 ottobre, l’ammiraglio Hipper cercava di riprendere in mano la situazione. Dal momento che gli equipaggi dei sommergibili e dei cacciatorpediniere erano rimasti nella totalità ‘fedeli’, Hipper disponeva un sommergibile in posizione appropriata per silurare la Thuringen e la faceva affiancare da due cacciatorpediniere e un mercantile a vapore, i quali trasbordavano sulla corazzata 200 uomini armati. Mentre gli ammutinati della Thuringen si rifugiavano nel castello di prua, abbandonando le artiglierie ai marinai ‘lealisti’, quelli della vicina Helgoland puntavano i cannoni contro il sommergibile e i cacciatorpediniere, per essere a loro volta subito dopo messi sotto tiro dalle artiglierie di poppa della Thuringen. Resteranno così a lungo tutti quanti ‘cannone contro cannone’ senza sapere che cosa fare. I primi ad arrendersi saranno gli ammutinati, dopo l’annuncio che entro due minuti i fanti di marina avrebbero aperto il fuoco. Per primi si arrendevano quelli della Thuringen, subito seguiti da quelli della Helgoland. Delle due unità 500 uomini [su un totale di 2300…] venivano sbarcati e messi ai ferri.”
Il 31 ottobre l’ammutinamento a Wilhelmshaven può considerarsi concluso. I marinai arrestati vengono portati a Kiel, e qui scoppia la rivolta decisiva. Così ricostruisce l’episodio il sito Contromaelstrom, nel testo “Il tradimento della socialdemocrazia”: “I marinai ed i fuochisti tentarono di impedire la partenza della flotta per ottenere il rilascio dei loro compagni. Circa 250 di loro si incontrarono a tal fine la sera del 1º novembre nella casa sindacale di Kiel, ma non ottennero nulla.
Il 2 novembre parecchie migliaia di marinai e di rappresentanti dei lavoratori si riunirono nel pomeriggio nella grande piazza d’armi, al grido di “pace e pane” raccogliendo l’appello del marinaio Karl Artelt e dell’operaio di cantiere navale Lothar Popp, entrambi membri della Uspd, Partito Socialdemocratico Indipendente Tedesco. I rivoltosi chiedevano il rilascio degli ammutinati e anche la cessazione della guerra. I partecipanti si stavano recando alla prigione militare per liberare i marinai arrestati, quando furono aggrediti da una pattuglia dell’esercito che sparò sulla folla uccidendo 7 manifestanti e 29 feriti gravi. I manifestanti risposero al fuoco e la pattuglia si ritirò.
Ma ormai era una rivolta generale. Il 4 novembre Kiel era sotto il controllo dei soldati e dei lavoratori. Si formarono i primi Consigli dei soldati e dei marinai.
La sera stessa giunse a Kiel il deputato della Spd Gustav Noske (diventerà tristemente famoso come mandante dell’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg); fu accolto con entusiasmo dai rivoltosi, si fece eleggere presidente del consiglio dei soldati. Alcuni giorni più tardi assunse la carica di governatore, mentre Lothar Popp della Uspd divenne presidente del consiglio superiore dei soldati. Il piano di Noske, e di tutta la dirigenza del Spd, era quello di limitare l’influenza dei consigli a Kiel, ma non poté impedire la diffusione della rivoluzione a tutta la Germania. Gruppi di marinai portavano in giro per la Germania l’appello alla rivoluzione.
Il 6 novembre Wilhelmshaven era nelle loro mani; il 7 novembre Hannover, Braunschweig, Francoforte e Monaco di Baviera. A Monaco un consiglio dei soldati e dei lavoratori costrinse l’ultimo re di Baviera, Ludovico III, ad abdicare. La Baviera fu il primo stato dell’Impero ad essere proclamato repubblica da Kurt Eisner della Uspd. Nei giorni seguenti anche negli altri stati tedeschi tutti i principi reggenti abdicarono, l’ultimo, il 22 novembre, Günther Victor dello Schwarzburg–Rudolstadt”.
Come scrisse Rudolf Rocker, rievocando quei giorni “Grande impressione suscitò la fuga dell’imperatore e del principe ereditario in Olanda, il 10 novembre 1918: fu la miserabile fine degli Hohenzollern. Ma nessuno provò compassione per il pazzo con le manie di grandezza, i cui discorsi stupidi e vuoti avevano tenuto l’Europa in agitazione per un quarto di secolo. Lo stesso individuo che aveva minacciato così spesso con la sciabola e che aveva millantato la grazia divina, al momento decisivo non aveva mostrato alcun carattere virile e s’era solo preoccupato di mettere in salvo la sua pelle e di gettare su altri la responsabilità della sconfitta. L’impero che Bismarck aveva consolidato quarantasette anni prima con una guerra sanguinosa, sprofondava ingloriosamente in una catastrofe ancor più cruenta. Ulteriore dimostrazione che anche il potere più forte è una fragile cosa che si sfascia facilmente quando si confronta con un potere ancor più forte”.
Successivamente il partito socialdemocratico si adoperò per fermare la rivoluzione, ma nonostante questo sommosse e ammutinamenti continuarono. Fra gli altri eventi ricordiamo l’ammutinamento della flotta francese nel Mar Nero, organizzato da coscritti provenienti dalle fila della CGT, che pose fine all’intervento francese a sostegno delle armate bianche in Russia, e la rivolta dei bersaglieri in Ancona, nel luglio del 1920, che pose fine all’intervento italiano in Albania.
Quella della diserzione quindi non è solo una scelta individuale, ma un pezzo del movimento antimilitarista, che è tanto più incisivo quanto più riesce a diventare di massa e si sviluppa in modo autonomo dai partiti politici, rispondendo solo alla richiesta popolare di porre fine alle guerre.
Tiziano Antonelli